martedì 25 febbraio 2014

La luna nel pozzo



Un forte odore di muffa riempiva la casa abbandonata da parecchi anni. Il sole penetrava debolmente dalle finestre socchiuse, l’aria fresca sibilava dall’uscio semiaperto facendo svolazzare alcune foglie sul pavimento.
Erano arrivati la mattina all’alba, il treno si era fermato dopo che la vecchia locomotiva a vapore aveva sbuffato. Il macchinista aveva tirato i freni che, stridendo, avevano squarciato il silenzio che avvolgeva la vallata. I campi di granoturco circondavano le poche abitazioni, in lontananza si intravedevano le montagne e verso le colline si estendeva la palude. La stazione era uno stabile diroccato e il capostazione, un individuo piuttosto burbero, se ne stava assopito su una sedia arrugginita. Il fischio della locomotiva lo aveva svegliato di soprassalto e per poco non era caduto a terra dallo spavento. Si era alzato borbottando, si era infilato il cappello sgualcito e con una paletta rossa aveva fatto dei segnali al macchinista. Il treno si era fermato e la stazione era stata avvolta da una sottile nuvola di fumo. Il capostazione aveva tossito maledicendo quel lavoro che svolgeva da anni.
Le porte si aprirono e dal vagone scesero una decina di persone. Un vecchietto con un cappello a bombetta che, sostenuto dal proprio bastone, faceva fatica a scendere gli scalini, una signora anziana con una gonna molto larga, intenta a non inciampare per non cadere, una famiglia con tre ragazzi dall’aria malinconica, il controllore che aveva dormito in fondo alla carrozza russando sonoramente per tutto il viaggio, e infine una giovane donna con il figlioletto. 
«Ecco, siamo arrivati!» pronunciò la mamma al piccolo che faticava a tenere gli occhi aperti per la stanchezza. Il viaggio era durato diverse ore e il bambino era stravolto. La scuola era finita da un paio di settimane e Nives, così si chiamava la donna, aveva finalmente deciso di recarsi nel vecchio paese di Stoffanera dove aveva vissuto da bambina. Quando i suoi genitori erano morti durante la Guerra dei Trisavoli lei era stata affidata alla vecchia zia Miranda che viveva a Tirambolo, nella regione del Fossato. E a Stoffanera non vi era più tornata. Era cresciuta e aveva avuto la possibilità di studiare, zia Miranda le voleva bene e l’aveva accudita come una figlia. Ma poi era diventata una donna, si era innamorata del suo compagno di scuola Eric, con cui si era sposata, ed era nato Mirko, il figlioletto dai capelli rossi sempre arruffati con piccole lentiggini sul naso. Mirko adesso aveva otto anni e da quando Eric se n’era andato Nives non desiderava altro che tornare nel paese dov’era stata bambina. La donna aveva pianto per giorni e i suoi singhiozzi avevano rimbombato nella casa silenziosa in cui vivevano. 
Erano passati sei mesi dalla scomparsa di Eric e Nives aveva preso una decisione: andarsene da quella casa che riempiva lei e il figlio di ricordi facendoli continuamente soffrire. Voleva lasciare Tirambolo al più presto. All’inizio Mirko non era d’accordo, ma poi si era convinto. Anche lui soffriva in quella casa da quando suo padre li aveva lasciati. Nives aveva aspettato che il bambino finisse la scuola per poi raggiungere con il treno il paese natale, dove si trovava la vecchia cascina in cui aveva abitato da piccola. Le erano giunte voci che dopo la morte dei suoi genitori la casa fosse rimasta disabitata per anni prima che la occupasse una vecchia signora giunta da lontano. Ma poi un giorno questa se ne era andata e il casolare era rimasto di nuovo disabitato. 

Madre e figlio lasciarono la stazione e si incamminarono in silenzio lungo la strada sterrata che attraversava il paese di Stoffanera. Nives fu assalita dai ricordi, aveva dimenticato quelle case costruite una accanto all’altra, affacciate sulla via principale. La bottega delle spezie esisteva ancora, il negozio di tessuti invece era chiuso e accanto era sorto un ristorante che ora pareva abbandonato. Una piccola banca era stata costruita vicino alla vecchia osteria e in lontananza si vedeva il campanile con il tetto spiovente e la chiesa dalle vistose finestre colorate. 
Il tragitto fu breve. In pochi minuti raggiunsero una cascina circondata da uno steccato pericolante. Erbacce e cespugli si erano appropriati della veranda e l’edera aveva raggiunto il tetto coprendo parte delle pareti esterne. 
Mirko non aveva ancora aperto bocca, quel posto non lo convinceva, gli sembrava di essere arrivato in un paese abbandonato. Non c’erano persone in giro e il silenzio era  inquietante.
«Non mi piace qui» disse finalmente alla madre.
«Beh… neanche a me. A chi può piacere una casa ridotta in questo modo?» rispose la donna; anche lei si era accorta del silenzio che avvolgeva il paese. Rivolse un sorriso malinconico al figlio prima di aprire il piccolo e malconcio cancello. Slegato il catenaccio arrugginito, camminarono nell’erba alta e si apprestarono a varcare la soglia. Un rumore assordante giunse dall’interno della cascina.
«Andiamo via!» gridò Mirko alla mamma tirandola per un braccio. Anche lei ebbe un tuffo al cuore. Dopo un attimo di esitazione sbirciò dalla finestra impolverata e ricoperta di ragnatele. L’interno era buio, si intravedevano alcune mensole con vettovaglie e paioli di rame. Quando si decise ad aprire la porta guardò Mirko che se ne stava in disparte impaurito. Spinse l’uscio appena socchiuso ed entrò. Due occhi luminosi la osservavano dal centro della stanza. Esitò prima di spingersi verso quella piccola figura che, furtiva, se ne stava accovacciata nella penombra.
«Mirko! Vieni un po’ a conoscere il padrone di casa!» schiamazzò la madre ridendo. 
Il bambino si avvicinò all’uscio spiando all’interno. Due piccoli occhi lo stavano osservando, improvvisamente la figura nell’ombra spiccò un balzo verso di lui. Il gatto, illuminato dalla luce del sole, sfrecciò veloce accanto al bambino, dileguandosi in tutta fretta. Mirko finalmente sorrise. 
«Ah! Mamma! Era solo un gatto! È stato lui a fare quel rumore prima!» esclamò raggiungendo di corsa la madre.
«Sì! Guarda qui. Quel gattaccio stava rovistando tra le pentole e ne ha fatta cadere qualcuna in terra.»
Il sole andava ormai tramontando, la casa doveva essere completamente ripulita e rimessa in ordine per potervi abitare. Nives e Mirko dormirono accovacciati in un angolo dove avevano sistemato una piccola branda per la notte. 
Il giorno seguente e quelli a venire Nives si diede un bel da fare per sistemare la vecchia casa. Mirko la aiutava volentieri, ma spesso gironzolava nei campi, era un bambino curioso e voleva ambientarsi al più presto in quel posto tutto nuovo. Passò una settimana prima che la casa tornasse ad avere il bell’aspetto di un tempo. Ma c’era ancora molto da fare.
Nessuno fece loro visita in quei giorni, i pochi abitanti di Stoffanera erano anziani e piuttosto taciturni e guardinghi. Non si fidavano degli stranieri e uscivano raramente dalle proprie case. Fu Nives a muoversi per prima. La gente aveva notato la presenza della donna con il bambino nella vecchia casa in fondo alla via, ma nessuno aveva riconosciuto quella bambina dagli occhi celesti e dai lunghi capelli neri che molti anni prima andava a spasso canticchiando per il paese.

Un pomeriggio Nives si diresse verso la bottega che un tempo era del signor Mugolo e che ora era gestita da Elenherian, un’anziana signora. Era stata l’unica persona con cui aveva scambiato qualche parola da quando era tornata a Stoffanera. La vecchia era scorbutica e non gradiva molto colloquiare con lei, ma almeno c’era qualcuno con cui potesse affrontare un discorso. Le poche persone che incontrava per strada la guardavano a malapena, si può dire che quasi la ignorassero. Mirko accompagnava malvolentieri la mamma in paese perchè era intimorito da Elenherian. Lei lo scrutava pensierosa, con quei suoi occhi infossati e scuri, e talvolta sorrideva con un ghigno sdentato.
«Buongiorno, Elenherian!» esclamò Nives entrando nel negozio. Fuori il sole andava oscurandosi, alcune nubi minacciavano pioggia.
«Buongiorno, Nives» rispose con voce roca l’anziana donna. Se ne stava sempre dietro al banco a preparare i barattoli di conserve.
«Saluta, Mirko! Non essere maleducato» disse poi la giovane donna al figlio che se ne stava con la bocca chiusa. 
«Buongiorno, signora» disse debolmente il ragazzino.
Elenherian abbozzò un sorriso.
«Ho visto che vende confetture e spezie. Mi servirebbe un po’ di tutto. Abbiamo deciso di rimanere per un po’ di tempo qui a Stoffanera» esordì raggiante Nives.
«Certamente. Ti preparo una borsa ricolma di tutto ciò che può servire. Questo giovanotto deve mangiare per crescere, dico bene?» domandò la megera al bambino ammutolito.
«Poi andiamo dall’ortolano del paese per fare scorta di frutta e verdura. Ci mancano anche il latte e la carne. C’è qualcuno in paese che ha delle bestie? Non ho visto le vacche al pascolo in questi giorni. Quand’ero bambina si spingevano dalle malghe fino a ridosso della cascina. Noi avevamo molti conigli e un piccolo pollaio…»
Elenherian sbuffò spazientita. Era una donna di poche parole e anche se Nives le stava simpatica non si dilungava volentieri in chiacchiere.
«Scusi…» ribadì Nives «chiedo solo a chi posso rivolgermi per un po’ di carne…»
«Non ti scusare con me, cara. Qui a Stoffanera le cose sono cambiate da un pezzo. Non ti sei accorta che le persone qui sono solo dei vecchi rincitrulliti chiusi nelle loro case o forestieri che si fermano solo per qualche giorno? Non c’è più nessuno che alleva vacche, né conigli o polli» rispose la vecchia indispettita.
«Ma c’è una banca, ho visto alcuni edifici nuovi… ci saranno anche altre persone…» aggiunse Nives. 
Elenherian prese alcuni recipienti e li riempì di origano, pepe, zafferano, rosmarino, timo e salvia, altri di sale e zucchero, altri ancora di farina. Poi mise il tutto in una bisaccia di stoffa insieme ad alcune confetture e a della mostarda. Infine porse la sacca alla giovane donna.
«Quanto le devo?» domandò Nives turbata.
«Niente. Potete andare ora» rispose l’anziana donna.
«Come? La prego, mi dica quanto devo pagare…»
«Senti, ragazza» bisbigliò Elenherian avvicinandosi all’orecchio destro della giovane «lo vuoi un consiglio? Prendi tuo figlio e lascia Stoffanera. Qui le cose sono cambiate da quando eri bambina. Trova il pozzo e vattene finché sei in tempo.»
Nives arretrò spaventata. Mirko stringeva la gonna della madre, con gli occhi sgranati.
«Ma cosa dice… sta spaventando mio figlio… e anche me!» bofonchiò Nives.
«Non sto scherzando! Una volta intrappolata non puoi più lasciare questo posto abbandonato da Dio. Non avete mai guardato il cielo? Non vi siete accorti di nulla? Qui la luna è morta! Andatevene ora e lasciatemi sola!»
Elenherian spinse Nives e Mirko verso l’uscio e chiuse il portone alle loro spalle.
La giovane donna era sbigottita, la serenità si era dissolta in un lampo. Ma soprattutto la sconvolgeva l’espressione di Mirko. Era terrorizzato, gli occhi lucidi e il volto pallido. 
«Ascolta…» disse la madre inginocchiandosi. Con le dita prese il mento di suo figlio per guardarlo negli occhi. Aveva lo sguardo perso nel vuoto.
«Non devi credere a quella donna… è anziana e… probabilmente è anche un po’ pazza. Mi dispiace che hai dovuto sentire tutte quelle sciocchezze. Ti prometto che non torneremo più qui e…»
«Mamma!» esordì finalmente il bambino «non credo che Elenherian sia pazza. Questo posto non mi piace. Credo che lei abbia ragione, forse dobbiamo andarcene.»
Nives si tirò in piedi, voltandosi dall’altra parte. Una lacrima le solcò il viso.
«Io non torno indietro, Mirko. Lo sai questo. Tuo padre se n’è andato e ora siamo solo io e te. Dobbiamo incominciare una nuova vita e non mi farò ostacolare da una vecchia ammattita. Vedrai che ci abitueremo a questo posto. È vuoto, deprimente! Me ne sono accorta anch’io, cosa credi? Ma ciò non vuol dire che non ci si possa vivere.»
Mentre la donna parlava Mirko si accorse di alcune figure che li stavano osservando da dietro le finestre, avvolte nella penombra delle loro case desolanti. Non disse niente a sua madre, non voleva sconvolgerla ancora dopo ciò che aveva sentito dalla vecchia. Mirko sapeva che erano osservati da quando erano giunti in paese. Ma di rado incontravano qualcuno per strada. E non riusciva a farsene una ragione. Il bambino prese la mano di sua madre e insieme si incamminarono verso casa.

Giunse la notte, la pioggia stava per riversarsi su Stoffanera. Nives e suo figlio avevano cenato insieme, lei aveva messo sul fuoco una minestra di legumi e Mirko l’aveva divorata. Non avevano parlato di ciò che era accaduto il pomeriggio nel negozio di Elenherian. Nives aveva sparecchiato la tavola mentre Mirko era uscito come tutte le sere a osservare il cielo. Pensò di fargli compagnia e di tralasciare per una volta le faccende domestiche. Uscì nel cortile ma non lo trovò. Di solito sedeva sulla panca di legno per un’oretta prima di rientrare e andare a letto. Ma quella sera Mirko non era lì. Nives lo cercò agitata nei dintorni del cascinale, lo chiamò a gran voce, spingendosi fino al paese. Lì, avvolta nell’oscurità, per la prima volta dal suo arrivo a Stoffanera, aveva avuto paura. Il paese era deserto, nelle case pareva non abitasse nessuno, non c’erano luci accese o comignoli fumanti. Spaventata decise di tornare a casa di corsa. E del bambino non c’era traccia. Lo aveva cercato a lungo, poi in lacrime, sconvolta era rientrata in casa sperando che suo figlio fosse tornato. Ma Mirko non era lì.

Il bambino correva lungo la via del Granfosso, una voce lo chiamava da lontano, sua madre lo stava cercando. Il cuore gli batteva forte in petto, soffriva pensando a lei che sicuramente era in ansia, ma nella bottega la megera aveva confermato le sue paure. Corse a perdifiato costeggiando la palude, la strada era infangata, quella notte imperversava un tremendo acquazzone ed era bagnato fradicio. In cima alla collina vide una luce fioca. Quando la raggiunse era stremato e sfinito. Bussò fragorosamente alla porta. Dopo qualche istante l’uscio si aprì e un’aria gelida lo colse in viso. Entrò titubante richiudendo la porta alle proprie spalle.

La vecchia era seduta su una sedia a dondolo di legno, mentre fumava la pipa. Il fumo del tabacco si mescolava a quello del fuoco acceso nel camino, minuscole particelle di fuliggine volteggiavano nella stanza addensando l’aria e rendendola irrespirabile. La sferzata di aria gelida si dissolse immediatamente con il calore della casa di Elenherian. L’anziana donna aveva i capelli sciolti che le cascavano sulle spalle, ciocche grigie e arricciate che solitamente teneva raccolte sulla nuca quando si recava nella bottega. 
Mirko la osservò per qualche istante, restando in silenzio e aspettando che dicesse qualcosa. Si aspettava che tra una boccata e l’altra prima o poi la vecchia gli avesse rivolto la parola. Ma Elenherian era immobile davanti al camino, non si era voltata nemmeno per un attimo. Forse non era stata lei ad aprirgli la porta. L’uscio probabilmente si era aperto con il soffio forte del vento. O magari Elenherian si stava rivelando per quello che era. 
«Signora… Elenherian?»  esclamò timidamente.
Ma la vecchia non rispose. Il ragazzo la chiamò altre due volte, senza ottenere risposta.
Intimorito Mirko fece per uscire quando improvvisamente udì un debole brontolio. Si voltò di scatto e si accorse che Elenherian se ne stava in piedi dietro di lui. Non si era nemmeno accorto che si era alzata così velocemente.
«Buonasera… signora Elenherian. Ero venuto per parlare con lei… di quello che ha detto oggi in negozio. Ma forse non è il momento adatto… mia madre mi sta aspettando…»
«Ti ho forse spaventato, Mirko? Accomodati, non avere paura» borbottò.
«Gra… grazie signora» rispose il ragazzo preoccupato.
Si sedettero vicino al camino, il fuoco avvampava, la legna ardeva ed emanava un forte calore. Mirko si sentì la faccia scottare. Spostò leggermente la poltrona dove si era accomodato per non stare troppo vicino al fuoco. Poi guardò la vecchia che ora lo scrutava in silenzio. Finalmente Elenherian iniziò a parlare.
«Non dicevo fesserie oggi, e se sei venuto fin qui credo che te ne sia accorto anche tu. Tua madre invece mi è sembrata molto turbata.»
«Lei non ha ancora visto. È troppo intenta a mettere a posto la casa dove siamo andati ad abitare e non ha badato a ciò che succede in paese. La notte è così stanca che dorme come un sasso. Io invece non riesco a chiudere occhio. Ho paura…»
«È normale avere paura, Mirko. Anch’io ne ho. Ho cercato di lasciare questo posto, più volte. Ma quando mi avvicinavo alla ferrovia il treno non arrivava. Sentivo la locomotiva in lontananza, l’ho aspettata per giorni, inutilmente.»
«Ma noi siamo arrivati con il treno…» 
«Certamente. Arriva, ma non riparte…»
«Ma c’erano anche altre persone… dove sono finite?»
«Si saranno perse. Questo posto è molto grande. Non tutti quelli che arrivano si fermano in paese, tanti vanno oltre, attraversano la palude e le campagne. Fino ai monti. Ma poi tornano sempre a Stoffanera. Non c’è via d’uscita.»
«Ma com’è possibile? Non riesco a capire…»
Elenherian sospirò. Accese nuovamente la pipa che nel frattempo si era spenta, tirò una boccata e l’odore dolciastro del tabacco invase le narici del ragazzo.
«Cosa hai visto esattamente, Mirko?» chiese la donna.
«Il buio…» rispose con un filo di voce.
«Dove?»
Mirko pareva piuttosto turbato dalle domande incalzanti dell’anziana donna.
«Dappertutto» rispose «quando cala la notte in paese non si accende nemmeno una luce e… anche il cielo è completamente scuro. E non solo stanotte che piove…»
«Hai visto bene, allora. A Stoffanera non esistono luci, neppure la luna e le stelle rischiarano la notte di questo posto maledetto!»
«Eppure nella tua casa c’è luce, hai delle lampade e accendi il fuoco nel camino, come nella nostra casa. Perché gli altri abitanti del paese vivono nel buio?»
«Perché sono condannati a vivere nell’ombra.»
«Ma è… assurdo! E noi siamo diversi da loro?»
«Che domande! Certamente! Ma abbiamo commesso uno sbaglio, quello di scendere alla fermata sbagliata!»
Mirko era sempre più confuso. Non riusciva a capire a cosa alludesse Elenherian. 

Nives era uscita nuovamente di casa. I tuoni rimbombavano nella vallata. In lontananza scorgeva la sagoma del paese avvolto nell’oscurità. Avvertì un brivido, l’aria era gelida, ma era il terrore a paralizzarla. Nel buio scorse l’unica altra luce oltre a quella proveniente dalla propria casa. In cima alla collina, oltre la palude. Si incamminò velocemente, aveva il sospetto che suo figlio si fosse diretto lassù. Sapeva chi ci abitava. Il vento impetuoso fletteva i giunchi della palude, mentre la pioggia si riversava abbondante. 
Nives camminò a capo chino, fradicia. Levò lo sguardo per cercare il fievole barlume in cima alla collina quando sentì gli schiamazzi provenire dal paese.

Elenherian si alzò dalla sedia a dondolo. Mirko la seguì con lo sguardo. 
«Tua madre sarà in pensiero. Ti starà cercando.»
«Mi dispiace. Ma ho bisogno di sapere la verità…»
«È pericoloso uscire di notte» incalzò lei.
Mirko si allarmò.
«È successo qualcosa a mia madre?» chiese alzandosi con un balzo dalla poltrona.
Elenherian si avvicinò alla finestra e sogghignò.
«Maledetta!» imprecò il ragazzo raggiungendo la vecchia. Scrutò la vegetazione nell’oscurità e intravide sua madre in lontananza che lo stava cercando. Ma laggiù, dal paese, centinaia di ombre si muovevano verso di lei.

Nives cacciò un grido. Oltre la palude intravide dei movimenti. Quando fu quasi in cima alla collina si accorse che la sua casa era piombata nel buio. Qualcuno era entrato e aveva spento le luci. Accelerò il passo per raggiungere la casa di Elenherian, ancora illuminata. Ma nella foga della corsa inciampò e cadde rovinosamente. 

Elenherian agguantò Mirko per un braccio e lo trascinò fuori dalla casa. Il vento impetuoso urlò la sua furia, aumentò vorticosamente e all’improvviso spazzò la catapecchia della megera mandandola in frantumi. 
«Non sono una donna malvagia!» urlò per farsi udire dal ragazzo mentre imperversava la tormenta «io sono la guardiana di Stoffanera e quando qualcuno scende dal treno lo devo consegnare a loro! È il prezzo che devo pagare per sopravvivere! Dovevate andarvene quando vi ho avvertito! Hanno aspettato a lungo, ma hanno capito che vi volevo aiutare e ora sono venuti a prendere me e anche voi!»
Mirko riuscì a divincolarsi dalla presa della donna. Non riusciva a capire cosa le stesse dicendo. Spinse con forza Elenherian che cadde a terra. Poi corse a perdifiato discendendo la collina finché intravide sua madre.
«Mamma!» gridò.
Nives fece per rialzarsi, vide il figlio che le correva incontro. Sorrise. Ma in un attimo le ombre le furono addosso. Mirko gridò di terrore mentre centinaia di anime nere infestavano la collina.

In quel momento la tormenta cessò. 
Le urla strazianti di Elenherian giunsero improvvise dall’eremo distrutto, le mani rivolte al cielo mentre i fulmini le laceravano il corpo. Con una profezia aveva attirato a sé le saette, queste si erano sprigionate in un enorme rogo che si era avviluppato in lei. Le fiamme illuminarono l’intera collina e le ombre si allontanarono tra gemiti orripilanti. 

«Raggiungete il pozzo!» gridò Elenherian prima di essere avvolta completamente dalle lingue di fuoco. Mirko raggiunse sua madre. La aiutò ad alzarsi e insieme osservarono il terribile rogo scatenato dalla vecchia. Ai margini della palude le ombre si contorcevano dal dolore e cercavano riparo nel buio fitto del paese. Mirko si accorse che le case erano state spazzate via dall’uragano abbattutosi su Stoffanera. Anche la vecchia cascina era scomparsa. Solo la stazione sembrava non essere stata coinvolta. 

«Il pozzo…» udirono proferire dal rogo.
Mirko intuì a cosa alludeva la vecchia. Di lì a poco le fiamme si sarebbero estinte e il suo gesto sarebbe stato vano. Le ombre sarebbero tornate a prenderli. Nives era terrorizzata. Guardò suo figlio e lo abbracciò con forza. Ma Mirko diede uno scossone a sua madre. 
«Dobbiamo entrare nella palude!» gridò «hai sentito cosa ha detto Elenherian? Mamma, sbrigati!»
Nives si lasciò trascinare dal figlio. Non capiva. Attorno a sé il buio andava infittendosi. Le fiamme sempre più deboli si stavano riducendo a un ammasso di braci fumanti quando Mirko vide nascosto tra i giunchi un pozzo di pietra. Avanzarono faticosamente nell’acqua torbida che arrivava alle ginocchia. Quando lo raggiunsero Mirko sbirciò all’interno e sorrise.
«Aiutami, mamma!» sbraitò il ragazzo mentre afferrava una fune che dalla cima del pozzo scendeva in profondità «dobbiamo calarci!»
Nives sembrò rinsavire d’un tratto.
«Cosa… come dobbiamo calarci? Vuoi scendere là sotto? Ma dobbiamo tornare a casa…»
«Appunto… scendi mamma! Non fare storie!»
In quel momento il buio avvolse completamente la palude. Il fuoco si era spento e le anime nere li avevano circondati. L’eco del loro terribile lamento era assordante. Mirko si issò sul bordo del pozzo, afferrò la fune e tese la mano a sua madre mentre le ombre cercavano di strapparla via. Nives riuscì a divincolarsi e con la forza della disperazione agguantò la mano di suo figlio. Entrambi si aggrapparono alla corda e si calarono rapidamente nel pozzo, una luce li abbagliò e le ombre si dispersero all’istante.

La vecchia era scesa alla fermata sbagliata molti anni prima. Accortasi dell’errore aveva cercato di scappare, ma inutilmente. Aveva vagato per giorni prima di trovarsi di nuovo intrappolata in paese e quando aveva capito che il treno non sarebbe più tornato, aveva trovato un compromesso con le anime di Stoffanera. D'altronde lei era diversa da loro, non aveva fatto nulla di malvagio. Per sopravvivere alla loro malignità aveva l’ingrato compito di trattenere tutti coloro che scendevano dal treno e di lasciarli in mano alle anime perdute, anche quelli come lei che erano scesi per sbaglio. Ma quando aveva incontrato Nives e suo figlio, così giovani, non se l’era sentita di affidare altre creature innocenti al buio. Aveva deciso di aiutarli rivelando loro l’unica via di salvezza per chi era stato vittima dell’inganno. 
Elenherian sapeva che finché per Nives e Mirko la luna brillava ancora nel pozzo, potevano mettersi in salvo.

Nives e Mirko precipitarono tra le stelle. Si destarono poco dopo, circondati dal manto soffice dei verdi paradisi illuminati dal sole di giorno e dalla luna di notte. 
La locomotiva a vapore faceva due fermate e loro ingenuamente avevano dato retta al vecchio capotreno, un essere meschino che cercava di portare con sé più anime possibili. Sarebbero dovuti scendere alla stazione successiva, quella del vero paese di Stoffanera, abitato da persone come loro. 
Nives abbracciò Mirko quando si trovarono di fronte alla cascina, ora completamente nuova, ornata di fiori e ghirlande. Stoffanera era un paese allegro, dove tutti vivevano in perfetta armonia. Il treno per loro non tornò mai più in stazione, ma Nives e suo figlio erano contenti di aver trovato la pace. 

Ogni mattino Mirko sente il fischio lontano del treno che porta nuovi arrivati. Si reca precipitosamente alla stazione con il cuore in gola. Sa che un giorno suo padre li raggiungerà. E finalmente torneranno a essere una famiglia felice. Per sempre.  

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