venerdì 30 maggio 2014

Lettere dal passato ("L'Invasione", pp. 5-7)



Lettere dal passato – Biblioteca Comunale di Pianorese

20 aprile 1971 – dalla missione di Acambosa, Camerun.
Padre Mario Velasquez, missionario.
“Ho pregato Nostro Signore perché non mi venisse meno la fede anche in quel momento tanto straordinario quanto spaventoso. Dietro al villaggio della missione, verso ovest, tre oggetti luminosi se ne stavano sospesi in cielo. Ogni domenica sera erano lì, ad osservarci, per un mese, poi più nulla. Non parlai di questo in giro, non volevo creare troppo trambusto tra questa povera gente; i ragazzi qui non ne hanno mai parlato, non capivano, o forse sì, comunque non ne volevano parlare.”

2 agosto 1996 – Oviedo, Spagna.
Jorge Santos, agricoltore.
“Non mi preoccupai più di tanto quando quell’uomo mi chiese un’informazione. Doveva andare a Burgos. Ero nella mia vecchia Marbella (che chiamavo la roja per via del colore rosso fuoco) sulla strada statale fermo al semaforo quando si fermò accanto a me un’auto straniera bella e nuova fiammante. Il motore ruggiva, pensavo che con il caldo che faceva si sarebbe surriscaldato facilmente. Mi guardò e mi chiese gentilmente qual’era la direzione esatta. Era un tipo bizzarro, o meglio curioso; con quel caldo indossava un cappotto! Che bello, ha il climatizzatore, pensai ridendo, io che nella mia vecchia amica a quattro ruote non l’avevo mai avuto. Ma tuttavia era esagerato indossare il cappotto! Capii che non voleva farsi vedere molto in viso per via di quelle cicatrici, portava un paio di occhiali da sole e un cappello scuro. Gli spiegai la strada e poi quando il semaforo divenne verde lo salutai e lui mi rispose con un cenno della mano. Dopo qualche minuto, mentre percorrevo la statale e ripensavo a quello strano tipo, all’improvviso realizzai che non avevo aperto bocca e nemmeno lui l’aveva fatto mentre mi chiedeva informazioni. Erano stati solo pensieri, come in quel libro di Stephen King dove gli alieni comunicavano con gli umani tramite telepatia. Alieno, sì, perché solo allora ricordai che non portava occhiali da sole scuri ma aveva grandi occhi neri e una pelle olivastra. Restai confuso per molto tempo fino quasi a convincermi che era stato un sogno o un’allucinazione. Ovviamente non lo raccontai in giro, lo dissi solo a mia moglie che cercò di farmi capire che avevo visto un tipo strano ma che poi il caldo mi aveva giocato un brutto scherzo. D’altronde ancora adesso ci scherzo su, un E.T. in automobile che mi chiede la strada. Pensavo andassero con le loro astronavi! Mi ricordo che mi sorrideva.”

16 marzo 2005 – Monza, Italia.
Teodoro Somma, studente.
“Avevo circa dodici anni, e come tutti i bambini di quell’età avevo molti sogni e una grande fantasia. So per certo però che quello che vidi non era frutto della mia fervida immaginazione.
Il cielo ormai era buio, saranno state le dieci di quella sera d’estate quando giocavo nel piccolo giardino della casa dei miei genitori. Era ora di rincasare ma le stelle del cielo, limpido quella notte, mi affascinavano. Restai colpito da una in particolare, era più luminosa, forse era più vicina delle altre. Brillava e pensai che non era una stella, forse era un satellite, si muoveva. Restai a bocca aperta quando all’improvviso accelerò ad una velocità mai vista. Prima si mosse verso di me, poi andando verso il monte dietro al paese sparì nel nulla. Ho sempre voluto credere alla mia versione fantasiosa, non l’ho mai raccontato a nessuno, credo si trattasse di un ufo. D’altronde perché non credere ad una possibile forma di vita oltre alla nostra nell’universo così immenso?”



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